mercoledì 16 dicembre 2020

I fiori del male (e un bouquet di cambiamento)

Questo articolo è stato scritto nel 2017, per il primo numero di CulturArte di quell'anno. Purtroppo, però, è presente solo nella versione dello sfogliabile, ma non nel sito. 

Lo condivido nel blog oggi, perché è uno dei primi articoli che ho scritto sul tema della questione femminile e ci sono particolarmente affezionata.



 “Nello spazio incolore del manicomio furono recintate e fatte appassire tutte le deboli piante intisichite”

La parola libertà nel dizionario della lingua italiana Treccani, viene spiegata come l’essere libero, lo stato di chi è libero, è un nome di sesso femminile. Lo stesso termine anche tradotto in inglese, spagnolo e francese, rispettivamente freedom, libertad e liberté, è di genere femminile.

Eppure, purtroppo, le donne hanno avuto ben poche volte la possibilità di scegliere liberamente. Ciò che oggi viene visto dai nostri occhi come un abominio, ad esempio il fatto che la figura femminile possa essere considerata una proprietà privata dell’uomo a cui appartiene e al quale dedica la sua più devota attenzione, fino a non molti anni fa era prassi anche nel nostro Paese.

Nell’epoca fascista, in cui la dittatura aveva messo a tacere la libertà di chiunque, le donne erano vittime due volte: non solo dello Stato italiano, ma anche della famiglia dalla quale erano state generate e formate prima, dal nuovo nucleo che andavano a formare poi. Madri modello e spose esemplari: era questo ciò che veniva richiesto alle giovani donne fasciste. Istinti, aspirazioni e desideri non rientravano nei canoni imposti, tutto doveva essere represso. Talvolta era facile, bastava poco per rimettere in riga donne troppo indipendenti. Altre volte vi era bisogno di un metodo coercitivo, come la reclusione in manicomio.

Nell’Italia del ventennio, la penisola era attraversata da un enorme numero di manicomi, fra i quali, degno di nota, è quello di Sant’Antonio Abate di Teramo. Non solo perché fu uno dei più antichi, ma è quello dal quale sono pervenuti molti dei documenti che hanno reso possibile dare vita alla mostra “I fiori del male – Donne in manicomio nel regime fascista” che si è tenuta alla Casa della Memoria e della Storia fino allo scorso novembre.

Una sola sala colma di storia di un Paese malridotto e di storie di donne abbattute e recluse: così si presentava l’esposizione in cui si alternavano foto a documenti clinici, richieste dei parenti delle recluse (che, nella maggior parte dei casi, desideravano prolungarne la permanenza in manicomio) a lettere scritte con grafie insicure.

Talvolta provenienti da famiglie devastate, in altri casi affette da vere e proprie disfunzioni nervose o da traumi, spesso dovute a perdite di guerra. Di frequente finivano a vivere in manicomio anche le vittime di violenze carnali che venivano sottoposte, prima e durante la permanenza, a perizie psichiatriche per accertare che al momento del fatto fossero “in stato fisico e mentale da poter efficacemente resistere” e che non avessero provocato i propri assalitori. L’epilogo spesso descriveva la donna in questione come figura incompleta, dotata di ideazione puerile, coscienza morale lungi dall’essere prossima a quella della norma e con un senso dell’onore poco sviluppato. Così come poco sviluppato e più leggero di quello maschile viene considerato il cranio di donna, creatura misteriosa e malata una volta al mese e ancor più malata per una gran parte del tempo della sua fecondità, in alcuni scritti di fine Ottocento che definiscono le donne come cose da sorvegliare e biancheria da cucire.

Non vi era spazio per esprimere le proprie opinioni, ma neppure la propria personalità: fra i sintomi che potevano fare emergere il bisogno di essere rinchiuse in manicomio, figuravano persino aggettivi quali impulsiva, esibizionista, erotica, loquace e piacente.

Tutte le donne le cui storie sono comparse nella mostra, alcune ben ricostruite in teche di vetro, altre come ritagli di un diario vecchio e danneggiato nel tempo, sono le vittime silenziose di ciò che è stata la condizione femminile durante il regime fascista: della miseria che si viveva nei manicomi e della mancanza di libertà e di dignità che soffocava chiunque nascesse donna.

Eroine sconosciute e senza gloria che speriamo non abbiano vissuto i propri giorni nella rassegnazione e nel dolore invano.

“Mescolano la schiuma del piacere alle lacrime dei loro tormenti” Charles Baudelaire




 

dicembre 16, 2020 / by / 0 Comments

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